Permessi 104 anche al convivente | Studio Mancuso Consulenti del Lavoro
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Permessi 104 anche al convivente

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Permessi 104 anche al convivente

I tre giorni di permessi 104 che consentono al lavoratore di assentarsi per assistere familiari con gravi handicap devono essere riconosciuti anche al convivente more uxorio e non solo al coniuge e ai parenti e affini.

La Corte Costituzionale con sentenza 213/2016 ha dichiarato illegittimo l’articolo 33, comma 3, della legge 104/1992 in quanto non individua tra i fruitori dei permessi, oltre ai famigliari più stretti, i conviventi.

La sentenza vede come protagonista una lavoratrice dipendente che si è vista negare il diritto di assistere il convivente more uxorio affetto da morbo di Parkinson.

Il punto centrale dell’argomentazione dei giudici costituzionali è l’interesse tutelato dalla legge 104/1992 e dal congedo straordinario previsto dalla legge 151/2001: “assicurare in via prioritaria la continuità nelle cure e nell’assistenza del disabile che si realizzino in ambito familiare“.

Altro punto fondamentale da non tralasciare è il diritto alla salute, tutelato dall’articolo 32 della Costituzione e diritto inviolabile garantito anche dall’articolo 2 della Carta costituzionale, sia in quanto soggetto singolo che nelle formazioni sociali in cui svolge la sua personalità. Per formazione sociale deve intendersi ogni forma di comunità.

Visti questi due punti per la Corte Costituzionale “è irragionevole che nell’elencazione dei soggetti legittimati a fruire del permesso mensile retribuito… non sia incluso il convivente della persona con handicap in situazione di gravità“. Di conseguenza l’articolo 33, comma 3, della legge 104/1992 risulta incostituzionale non tanto perché non equipara  il convivente al coniuge, ma perché costituisce una contraddizione logica visto che la norma punta a tutelare il diritto alla salute psico-fisica del disabile, finalità che costituisce l’elemento che unifica la situazione di assistenza da parte del coniuge o del familiare e quella fornita dal convivente.

Quindi secondo i giudici escludere il convivente dai beneficiari dei permessi comporta un’irragionevole compressione del diritto, costituzionalmente presidiato, del disabile a ricevere assistenza nell’ambito della sua comunità di vita equiparando il convivente alla prima cerchia dei soggetti che possono fruire dei permessi e quindi coniuge, parenti e affini entro il secondo grado.